Il Femminicidio

Più di una mera questione semantica

Tra i fatti di cronaca che sempre di più, negli ultimi anni, sono stati posti in risalto dai media e dall’opinione pubblica si è stagliato il fenomeno del femminicidio.

Il primo scoglio da arginare riguarda la questione semantica legata a questo vocabolo che, non di rado, suscita ancora polemiche e in alcuni casi indignazione poiché trattasi sempre di omicidio. Anche se considerato una sottocategoria dell’omicidio, il termine femminicidio racchiude in sé dei significati profondamente diversi e peculiari che fanno riferimento non all’uccisione di una donna in quanto essere umano, bensì in quanto donna. Va da sé, quindi, considerare tale crimine come un fenomeno strettamente legato ad una cultura maschilista che, ancora oggi, tende quasi a giustificare determinati agiti violenti ed efferati.

Il concetto di femminicidio non si lega solo al mondo criminologico e giuridico, ma anche alla sfera psico-sociale, andando a definire e delineare un tipo di condotta estrema di violenza di genere perpetuata attraverso aggressioni fisiche, sessuali, psicologiche, economiche, educative, istituzionali, familiari e comunitarie, da parte di uomini. Di fatto la donna assume una posizione indifesa e di esigua tutela che la espongono ad un rischio di uccisione o di tentativi di uccisione.

Quando si parla di femminicidio, dunque, non si fa riferimento solo alla violenza di un maschio verso una femmina, ma ad una vera e propria violenza contro la femminilità intesa come l’insieme di caratteristiche femminili definite, culturalmente nel tempo, da una prospettiva prettamente patriarcale.

Negli ultimi anni il fenomeno è stato oggetto di attenzioni e approfondimenti di carattere giuridico proprio per il sottile significato che esso racchiude, poiché la sola relazione che intercorre tra l’autore e la vittima non è sufficiente a connotare un omicidio come femminicidio.

Aspetti giuridici

Negli ultimi anni il fenomeno è stato oggetto di attenzioni e approfondimenti di carattere giuridico proprio per il sottile significato che esso racchiude, poiché la sola relazione che intercorre tra l’autore e la vittima non è sufficiente a connotare un omicidio come femminicidio. L’11 maggio 2011 si è tenuta, ad Istanbul, la Convenzione del Consiglio d’Europa in merito alla violenza sulle donne e violenza domestica che ha dato il via, nel 2013, al disegno di legge (d.d.l. 764) in cui sono stati delineati i contorni di una pena, intesa come aggravante, per i reati commessi sulle donne.

Nel d.d.l. 724 del maggio 2013, sono state aggiunte diverse specifiche attraverso le quali il femminicidio viene considerato una vera emergenza, un fenomeno spesso sottotraccia ma largamente diffuso, legato alla gerarchia dei rapporti che sfocia in una violenza di genere e che affonda le proprie radici negli aspetti culturali e sociali ereditati dalle famiglie e dalle comunità, conservate e tramandate attraverso stereotipi. Nel disegno di legge è prevista una pena relativa non solo alla violenza fisica, ma anche a quella domestica, psicologica ed economica, a tutela della persona, del coniuge, del familiare, in quanto persona, e non solo di donna.

Come comportarci?

Nei rapporti tra le persone non è raro imbattersi in relazioni abusanti. Ciò si verifica a causa di un incastro tra determinate personalità, fattori ambientali e fattori situazionali, che possono foraggiare l’incremento di agiti violenti di qualsiasi natura.

A questo si aggiungono la poca diffusione sul territorio dei centri antiviolenza, l’esigua presenza di comunità preposte sia alla riabilitazione dei carnefici che al supporto delle vittime, la mancanza di risorse per combattere questo fenomeno.

Pertanto, è importante riconoscere tali comportamenti ed intervenire tempestivamente, non solo per dare l’allarme e sporgere denuncia l’autore di reato, ma anche per supportare la vittima e fornirle aiuto ed assistenza per staccarsi da una relazione malata e potenzialmente pericolosa all’interno della quale, spesso, le donne si trovano bloccate.

Daniele M. Vitale

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