Joker di Todd Philips: una riflessione secondo la psicopatologia dello sviluppo

OCCHIO AGLI SPOILER!

Il seguente articolo contiene anticipazioni sul film Joker di Todd Phillips

Un film attesissimo che ha avuto un successo enorme al box office e ha vinto il Leone d’Oro alla 76° Mostra del Cinema di Venezia. Come potevamo noi psicologi esimerci dal commentare una simile preda intrisa di psicopatologia? Il film narra la storia di un ragazzo, Arthur, con la voglia di emergere e farsi strada nel mondo dello spettacolo, che viene quotidianamente frustrato e ferito dall’atteggiamento detestabile degli altri nei suoi confronti. Arthur, il futuro Joker, è una vittima di soprusi, prima che artefice di delitti. Tralasciando i dubbi sulla trama, quanto di vero ci sia, quanto fossero allucinazioni, è comunque palese che la storia attuale di Arthur si intreccia con il suo passato. Si ritrovano a colpo d’occhio (clinico) una serie di fattori di rischio che da una lettura in chiave evolutiva non hanno plausibilmente permesso al protagonista di crescere secondo una traiettoria evolutiva sana, rendendolo lo psicotico che è ben caratterizzato nel film. Di questi fattori di rischio ne vedremo un paio che emergono preponderanti.

Le origini del malessere

All’inizio dalla trama sembra che il padre lo abbia abbandonato con la madre, Penny, ma durante il film scopriamo che in verità, quello che dovrebbe essere il vero padre, potrebbe non averlo mai riconosciuto, anzi, avrebbe allontanato la madre. Una donna rifiutata, sola e abbandonata che ha trovato un compagno maltrattante sia verso di lei che verso il figlio. È evidente che il subire maltrattamenti in età infantile ha un impatto negativo che tende a persistere e a esser riscontrabile anche in età adulta (2), le conseguenze sono di vario genere e variano in base alla tipologia e alla severità dell’abuso, si possono riscontrare modificazioni sul piano neurobiologico, ritardi cognitivi, comportamenti disfunzionali quali aggressività, disturbi della condotta e abuso di sostanze nonché sviluppo di quadri psicopatologici e disturbi di personalità in età adulta (4, 2). Nelle ricerche è sempre risultato difficile “isolare” gli effetti di ogni singola tipologia di abuso, in quanto tendono spesso a essere presenti tipologie diverse agite all’interno dello stesso sistema familiare. Arthur/Joker, in linea con la letteratura scientifica (1), mostra maggiormente condotte esternalizzanti, sarebbe interessante scoprire qual è il suo vissuto durante l’adolescenza e se queste dinamiche trovano ulteriore conferma. Tali traiettorie sarebbero le più comuni risposte adattive al trauma e potrebbero condurre a veri e propri disturbi psicopatologici, con un forte rischio di sviluppo di disturbi borderline o schizoidi di personalità e problematiche antisociali (8).

Penny, la madre, sin dall’inizio del film appare come una donna fragile, curata e assistita in tutto e per tutto dal figlio, mostra fissazioni verso il suo precedente datore di lavoro al quale si rivolgerebbe continuamente con lettere, dalle quali si evincerebbe una sintomatologia delirante (ci asterremo dal prendere in considerazione altre teorie, il film si apre a molte interpretazioni personali e lo stesso regista non ha voluto fugare i dubbi). Scopriamo poi che trent’anni prima aveva ricevuto una diagnosi di deliri psicotici e disturbo narcisistico di personalità. Quali sono gli effetti del crescere con una madre con una tale psicopatologia? La letteratura scientifica ci riporta che il vivere con un genitore con sintomatologia psicotica è un fattore di rischio importante, in primis per la familiarità riscontrata nei disturbi schizofrenici, che dall’1% della popolazione generale sale al 10% per i figli di genitori con questi disturbi (5), una percentuale che sarebbe potuta diminuire se Arthur avesse avuto la possibilità tramite gli istituti dell’affido e dell’adozione di crescere in una famiglia “sana” (7). In alcuni studi risulta che il fattore aggravante non è il tipo di psicopatologia materna, quanto l’intensità e la cronicità della condizione, con una forte correlazione con lo status sociale materno e familiare che sarebbe un fattore di rischio per la salute mentale del bambino più potente di quello relativo alla variabile salute mentale materna (6). Oltre alla sintomatologia schizofrenica, Penny aveva ricevuto anche una diagnosi di disturbo narcisistico di personalità, questo l’avrebbe, ipoteticamente, resa una madre eccessivamente autocentrata, che quindi non ha saputo lasciare spazio ai bisogni del figlio, mostrandosi indisponibile affettivamente verso Arthur. Era plausibile che Arthur/Joker crescesse cercando di soddisfare i bisogni di ammirazione e riconoscimento della madre e sviluppando un comportamento di continua compiacenza verso gli altri, mostrando quelle che a primo acchito sarebbero potuto sembrare potenziate capacità empatiche, ma che indagando meglio sarebbero apparse come un’accresciuta posizione protettiva mascherata da empatia (3).

Conclusioni e questioni aperte

Non è possibile, con le notizie in nostro possesso, respingere l’idea che i fattori di rischio vissuti da Arthur/Joker abbiano inficiato il suo sviluppo, rendendolo la persona che vediamo nel film, ma al contempo non è possibile escludere l’opposto. La robusta letteratura scientifica ci ha ben illustrato che i bambini esposti a condizioni psicopatologiche genitoriali sono a rischio di esiti di sviluppo disadattivi (4) e che il vissuto di maltrattamento in età infantile accompagnato a un sistema di attaccamento insicuro e/o disorganizzato sono correlati a una serie di esiti che in Arthur ritroviamo, quali: disoccupazione, carenza di amicizie, sintomi depressivi con pensieri suicidari e psicosi (8). Ma quali fattori protettivi ha incontrato il giovane Joker? È possibile che la sua vita sia stata un completo vortice di negatività?

Dott. Jacopo Bruni

Riferimenti bibliografici

  1. Ammaniti, M., Cimino, S., & Petrocchi, M. (2007). Indagine sull’impatto di situazioni traumatiche in adolescenza: Screening dei problemi emotivo-comportamentali, dei vissuti dissociativi e delle strategie difensive. Abuso e maltrattamento all’infanzia, 9(2), 11-32-
  2. Collishaw, S., Pickles, A., Messer, J., Rutter, M., Shearer, C., & Maughan, B. (2007). Resilience to adult psychopathology following childhood maltreatment: Evidence from a community sample. Child abuse & neglect, 31(3), 211-229.
  3. Dutton, D. G., Denny-Keys, M. K., & Sells, J. R. (2011). Parental personality disorder and its effects on children: A review of current literature. Journal of Child Custody, 8(4), 268-283.
  4. Nicolais, G. (2010). Psicopatologia genitoriale e implicazioni per lo sviluppo. In M. Ammaniti (A cura di) Psicopatologia dello sviluppo. Modelli teorici e percorsi a rischio. Milano: Raffaello Cortina Editore.
  5. Plomin, R., DeFries, J. C., Craig, I. W., & McGuffin, P. (2003). Behavioral genetics. American Psychological Association.
  6. Sameroff, A. J., Seifer, R., Zax, M., & Barocas, R. (1987). Early indicators of developmental risk: Rochester Longitudinal Study. Schizophrenia bulletin, 13(3), 383-394.
  7. Tienari, P., Wynne, L. C., Moring, J., Lahti, I., Naarala, M., Sorri, A., Wahlberg, K.E., Saarento, O., Seitamaa, M., Kaleva, M. & Läksy, K. (1994). The Finnish adoptive family study of schizophrenia: Implications for family research. The British Journal of Psychiatry, 164(S23), 20-26.
  8. Vergatti, L. V., Colavitto, M. T., & Taurino, A. (2014). Maltrattamento, abuso e carenza di cure. In A. Simonelli (A cura di) La funzione genitoriale. Sviluppo e psicopatologia. Milano: Raffaello Cortina Editore.

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