La crescita del bambino in carcere

Con la legge dell’ordinamento penitenziario n. 354 del 26 luglio 1975, conosciuta come legge Gozzini, è consentito alle madri detenute di tenere con loro i figli fino all’età di tre anni. Attualmente, gli istituti penitenziari italiani dedicati esclusivamente alle donne sono cinque: Empoli, Pozzuoli, Roma “Rebibbia”, Trani e Venezia “Giudecca” (Costanzo, 2013). Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, il 31 maggio 2019, ha riportato la presenza di 49 bambini all’interno degli Istituti Penitenziari in Italia.

L’ambiente del Carcere

Il carcere è certamente un ambiente poco adatto per la popolazione infantile poiché si tratta di un habitat caratterizzato da celle, finestre con inferiate, corridoi con numerose porte chiuse, stanze poco areate e illuminate che simboleggiano continuamente un ambiente simbolo di totale assenza di libertà. Questi bambini innocenti vengono privati di realtà affettive, relazionali, sensoriali, e sono costretti a vivere la maggior parte della loro giornata in una cella senza la possibilità di interagire con persone a loro familiari ad eccezione della madre, o frequentando altri bambini grazie agli accessi presso gli asili comunali. Le mamme detenute manifestano preoccupazioni nei confronti dell’ambiente, ecco perché è necessario che siano circondate da professionisti che siano in grado di approcciarsi con loro (Malizia, 2012).

Tra l’ambiente penitenziario ed il bambino si instaura un processo bi-direzionale poiché si influenzano reciprocamente; un buono sviluppo del bambino necessita di una comunicazione efficace tra le maturanti abilità infantili e le possibilità di esperienza e apprendimento che l’ambiente dispone ad esso. Ecco perché la presenza di difficoltà nella crescita non deve essere ascritta solo al bambino o solo all’ambiente, ma all’interazione tra i due, vale a dire alle capacità del bambino che non corrispondono all’occasione offerta dall’ambiente (Biondi, 1994).  Ad inferire nello sviluppo dei bambini reclusi troviamo fattori contestuali come, appunto, l’ambiente repressivo estenuante, l’assenza di una figura maschile di riferimento, a causa della reclusione in una società prettamente femminile, la separazione dalla famiglia e, in aggiunta, fattori generali come mancati standard di legami, diverse tradizioni religiose e disomogenea suddivisione geografica (Malizia, 2012).

L’ambiente e tutto ciò che causa porterà inoltre difficoltà nelle modalità di apprendimento.

Gli effetti sui bambini

In tali bambini sono state riscontrate regressioni e ritardi nello sviluppo causati dalla poca stimolazione dell’ambiente riguardo al moto, ai materiali, ai giochi e alle attività, ancora dagli spazi piccoli e dalle sperimentazioni nel socializzare ed esplorare. Secondo alcune osservazioni, questi bambini preferiscono giochi organizzati e monotoni (uno dei più frequenti è il gioco della chiave, in cui i bambini fingono di aprire e chiudere serrature).

Presentano problematicità nei processi di socializzazione causate principalmente dall’attaccamento, solitamente simbiotico ed iperprotettivo con la mamma. Il gioco permette di valutare come il bambino vive la condizione in cui si trova, ed il fatto che egli ripeta più volte lo stesso è simbolo della potenza che si attribuisce e riconosce nel poter modificare ogni volta l’andamento del gioco che propone.

Problematicità specifiche che si presentano riguardano l’alimentazione, il sonno o disturbi cognitivi e di linguaggio (Agostini, Monti, Girotti, 2011). L’alimentazione fa parte dell’aspetto comunicativo che il bambino stabilisce con la propria mamma; in detenzione si verificano notevoli ritardi nello svezzamento, salti dei pasti, scarsa voglia di mangiare, inoltre, alcuni bambini tendono a vomitare spesso (Biondi, 1994).

I disturbi dell’alimentazione di tali bambini sono spesso associati a disturbi del sonno. Il sonno è disturbato dall’ambiente, dal tipo di cella della mamma, e, spesso, dall’instabilità della sua compagna di cella. Ostacolo di fondamentale importanza è rappresentato dall’area del linguaggio. Questo elemento consente lo sviluppo di un canale comunicativo che porta ad interazioni ricche, interazioni che appaiono sensibilmente deboli in quanto, all’interno degli istituti penitenziari, prevale una comunicazione di tipo gestuale. I disturbi del linguaggio, infatti, sono collegati maggiormente a questioni psicologiche piuttosto che funzionali.

Ancor più evidente il problema del linguaggio mimico-gestuale che, secondo la teoria di Piaget (1952), si sviluppa nel quarto stadio, quindi intorno agli otto/dodici mesi, in cui il bambino è in grado di riprodurre azioni nuove, anche quelle che non può osservare nel momento in cui le riproduce. L’ambiente e tutto ciò che causa porterà inoltre difficoltà nelle modalità di apprendimento, essendo le potenzialità cognitive strettamente collegate alle condizioni affettive, relazionali e sociali (Biondi, 1994).

Dr.ssa Marta Cavallari

Riferimenti bibliografici

AGOSTINI F., MONTI F., GIROTTI S., (2011).  La percezione del ruolo materno in madri detenute, in «Rivista di Criminologia, Vittimologia e Sicurezza» 3, 6-25.

BIONDI G., (1994). Lo sviluppo del bambino in carcere. Franco Angeli, Milano.

COSTANZO G., (2013). Madre e bambino nel contesto carcerario italiano. Armando Editore, Roma.

MALIZIA M. C., (2012). Maternità in carcere. Uno studio esplorativo, in «Psicologia e Giustizia» vol. 2.

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