Le relazioni violente alla luce dei tratti di ansia da separazione

La violenza di genere è un fenomeno largamente diffuso, a prescindere dall’etnia, dalla religione, dalla classe sociale e dal grado di istruzione. Si tratta di un’esperienza che produce disparati effetti, a seconda dei comportamenti agiti, che sia esso di tipo fisico o psicologico.

Ciò che merita attenzione è la situazione in cui, nonostante il carattere violento connotato dalla relazione, la donna-vittima resta invischiata all’interno di essa. Si può parlare di differenza di genere che porta la vittima a ritenersi inferiore al suo aggressore, come si può parlare di stereotipi e false credenze che rafforzano questa posizione di sudditanza. In una situazione in cui i coniugi rivestono anche il ruolo di coppia genitoriale, molto spesso la famiglia viene ulteriormente idealizzata, non permettendo di prevedere possibilità di sganciarsi neanche in condizioni di abuso. Tuttavia, l’aspetto comune a ognuna di queste situazioni è la sensazione di impotenza avvertita dalla vittima, sensazione che la porta a mettere a tacere la propria insoddisfazione e sofferenza, allo scopo di salvaguardare le proprie e altrui credenze, gli stereotipi e gli ideali.

L’ottica clinica

Secondo una prospettiva più clinica, si può suggerire un’analisi di tale situazione di invischiamento all’interno di una relazione di coppia violenta alla luce di tratti di ansia da separazione. Tali tratti, da poco diagnosticati anche in età adulta, ma già ben noti nella psicopatologia dello sviluppo, connotano quelle situazioni in cui il partner, timoroso di perdere l’altro significativo, tende a mettere in atto comportamenti volti a mantenere il contatto, qualsiasi siano le circostanze. Alla base di tale esito disfunzionale si può individuare sia un fallimento nell’instaurazione della costanza dell’oggetto (Mahler, 1978), sia una scarsa differenziazione del sé (Ker & Bowen, 1988) che portano la persona a non poter fare a meno della figura di attaccamento.

La permanenza in relazioni violente, non riuscite, altamente insoddisfacenti, ma stabili nella loro insoddisfazione, può essere allora spiegata da tratti di ansia da separazione di uno o di entrambi i partner. Sia il comportamento del partner che si presta agli abusi, che quello di chi mette in atto tali comportamenti violenti, può essere spiegato alla luce dei suddetti tratti di ansia da separazione. Infatti, entrambi i soggetti, “vittima” e “carnefice”, temono la perdita della figura di attaccamento e, nel primo caso, si prestano agli abusi pur di non subire la perdita, essendo assaliti da un senso di impotenza e dall’incapacità di modificare la situazione, mentre nel secondo caso sono mossi da una rabbia disfunzionale, volta a far si che il partner non si allontani da loro (Castellano, Velotti & Zavattini, 2010).

Gli abusatori celano nel comportamento violento e nella forte rabbia una grande delusione rispetto ai bisogni di attaccamento

Bowlby nel 1988 (cit. in Castellano, Velotti & Zavattini, 2010) suggeriva che le situazioni di pericolo e paura attivano il sistema di attaccamento al punto di portare alla saldatura del legame, anche nel momento in cui è la figura d’attaccamento stessa a costituire la minaccia. Ciò che accomuna le vittime di abuso è uno stile di attaccamento insicuro ansioso che le porta a non aspettarsi un trattamento rispettoso da parte del partner. Il modello negativo del sé, infatti, porta queste persone ad intensificare le condizioni necessarie affinché il legame perduri nel tempo. La persona abusata sente il peso della debolezza e del bisogno dell’altro più di ogni altra cosa e giustifica la violenza subita, dando credito alle espressioni di dispiacere e di pentimento dell’aggressore, che seguono l’episodio di violenza. D’altro canto, l’aggressore, portatore anche lui di un modello negativo del sé, coglie il vantaggio per vivere l’illusione del proprio potere. Dal punto di vista dell’attaccamento, infatti, emerge che gli abusatori celano nel comportamento violento e nella forte rabbia una grande delusione rispetto ai bisogni di attaccamento. In altri termini, il loro comportamento può essere inteso come una strategia eccessiva ed impropria che ha l’obiettivo di riguadagnare o mantenere il contatto con la figura di attaccamento. Ciò su cui viene posta enfasi è il fatto che tali comportamenti vengano innescati da una situazione di minaccia ideale o reale, di rifiuto, di separazione o abbandono da parte del partner. Si tratta di espressioni distorte di emozioni molto forti relative all’attaccamento che nascono nel momento in cui la persona percepisce, o immagina, l’indisponibilità del partner (Castellano, Velotti & Zavattini, 2010). Tale fenomeno della violenza può essere paragonato, nella prospettiva dei teorici dell’attaccamento (Bowlby, 1980; Bartholomew, Henderson & Dutton, 2001), ad una versione adulta della protesta del bambino, certamente esagerata e disfunzionale ma atta a rispondere alla minaccia della separazione. A questo punto si può dedurre che si tratti di una strategia caratterizzante quelle persone che, avendo avuto storie di attaccamento che le hanno rese sensibili all’ansia, alla separazione e al rifiuto, percepiscono il comportamento ambivalente come un ipotetico rifiuto e reagiscono con il rischio di diventare abusanti.

A favore di una maggiore tutela della vittima di abuso, andrebbe posta una particolare attenzione alle caratteristiche che connotano il modello di attaccamento e il trattamento psicoterapeutico nelle situazioni patologiche, sia per chi commette comportamenti violenti, al fine di prevenire eventuali ricadute, che per chi li subisce, al fine di ripristinare modelli funzionali che la portino al benessere fisico e psicologico e alla prevenzione rispetto al rischio di incorrere nuovamente in relazioni con il medesimo pattern.

Dr.ssa Benedetta Pezzini

Dr.ssa Simona Grilli

Bibliografia

Bartholomew, K., Henderson, A.J.Z. & Dutton, D.G. (2001). Insecure attachment and abusive intimate relationships In Clulow (Ed.), Attachment and couple work: Applying thesecure base concept in research and practise, London: Routledge.

Bowlby, J. (1980). Attacchment and loss. Vol. 3: Loss : Sadness and depression. New York: Basic Books.

Castellano, R., Velotti, P., & Zavattini, G. C. (2010). Cosa ci fa restare insieme?. Bologna: Il mulino.

Kerr, M. E., & Bowen, M. (1988). La valutazione della famiglia. Un approccio terapeutico basato sulla teoria Boweniana. Roma: Astrolabio.

Mahler, M. S., Pine, F., & Bergman, A. (1978). La nascita psicologica del bambino. Torino: Boringhieri.

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