Il Teatro come strumento di recupero sociale

“Ter corazem de ser feliz” (il coraggio di essere felice) diceva Augusto Boal, famoso regista teatrale brasiliano ideatore del Teatro dell’Oppresso, una metodologia teatrale con la quale, attraverso differenti tecniche attoriali e non, si prefiggeva di risolvere i problemi dell’umanità.

Il suo obiettivo potrebbe sembrare completamente anacronistico, non vi è dubbio, però, che la grande maggioranza degli individui tende ancora ad aver paura di essere felice. Timidezza, ansia da cambiamento, abitudine, indecisione, senso di colpa, rassegnazione, mancanza di autostima o, addirittura, di tempo, questi sono solo alcuni dei motivi che inducono gli individui a rimanere fermi, a non rompere gli equilibri, anche se sono disfunzionali.

Apportare trasformazioni nella propria vita attraverso il teatro poi, sembra perlomeno una follia. Eppure, i suoi aspetti benefici e terapeutici sono stati dimostrati lungo la storia.

Come nasce?

Le origini del teatro possono essere fatte risalire a tanto tempo fa quando gli uomini idolatravano, adoravano e chiedevano aiuto alle divinità ballando e cantando durante riti propiziatori, pantomime e cerimonie.

Il rito, in particolare, attraverso i simboli con cui si esprime, ha sempre avuto una funzione attiva, non convenzionale ma anche e soprattutto, la capacità di operare vere e proprie modificazioni sia fisiche sia psichiche attraverso la sua apparente libertà di espressione.

Il rituale parte sempre dalla necessità di cambiamento o dal conflitto e mette in atto, invece, un ordine nel mondo individuale attraverso la prescrizione di azioni precise da compiere per rispettare il caos e allo stesso tempo trasformarlo al fine di ottenere “benessere”.

Con il tempo il rito ha assunto poi una forma sempre più spettacolare da cui, molto probabilmente, ha tratto origine il teatro greco.

La società greca era, infatti, caratterizzata da una precisa organizzazione: la Polis, la città-stato, luogo di commercio e di scambio,  esempio di democrazia aristocratica tuttavia misogina, con la sua agorà centro di diffusione della cultura. All’interno di tale contesto il teatro ha assunto una funzione peculiare, ponendosi come strumento pedagogico e formativo attraverso la identificazione tra i personaggi rappresentati e gli spettatori. A tale scopo la figura chiave nelle rappresentazioni era, ad esempio, quella di un eroe né troppo buono né troppo cattivo a dimostrazione che “in medio stat virtus”.

Fu Aristotele a introdurre il concetto di catarsi, dal greco kátharsis, katháirein, “purificare” per esprimere proprio l’effetto, che produce il dramma sui suoi spettatori: liberazione dalle contaminazioni che distruggono o danneggiano la natura dell’uomo.

Nascerà poi il teatro Romano, il periodo Repubblicano, il periodo Imperiale, il teatro del medievale, umanistico e rinascimentale e ancora romantico, naturalista e simbolista.

Con il tempo il rito ha assunto poi una forma sempre più spettacolare da cui, molto probabilmente, ha tratto origine il teatro greco.

Nella storia moderna

Ciò che invece ha caratterizzato la storia del teatro a cavallo tra ‘800 e ‘900 sono state le ricerche svolte in sinergia da teatranti e terapeuti (Stanislavskij, Grotowski, Cechov, Moreno) che avevano maturato l’idea di portare in scena la realtà attraverso lo studio della psicologia del personaggio che si fonde con quella dell’attore e viceversa. L’intuizione fu quella di individuare la valenza non solo culturale e sociale ma anche terapeutica del teatro.

Il lavoro di Moreno sullo psicodramma nasceva proprio dalle sue conoscenze sia nel campo della psichiatria che in quello del teatro come processo promotore della espressione del sé, della gestione dei conflitti e della condivisione delle emozioni in un setting che prevedeva, per la prima volta, la presenza di un gruppo.

Da questa scienza si sono sviluppate poi centinaia di pratiche, di applicazioni, di metodi e di scuole.

Può sembrare strano, ma la conoscenza delle proprie potenzialità, capacità, abilità e attitudini, può contribuire inequivocabilmente a ottenere quei cambiamenti e quelle trasformazioni utili per una realizzazione personale e per affrontare efficacemente le richieste e le sfide della vita.

E cosa più del teatro, ci può permettere di conoscerci meglio, di metterci in gioco, di osservarci e osservare la nostra quotidianità da un altro punto di vista, di scoprire le nostre risorse e le nostre fragilità.

Si può quindi facilmente comprendere perché le politiche sociali sostengono da anni la validità della pratica teatrale in generale, come approccio alla soluzione non solo di problemi psichici di varia entità ma anche per la gestione di eventi o avversità con cui ogni singolo individuo, in misura maggiore o minore, è quotidianamente costretto a fare i conti: stress, cambiamenti sociali, lavorativi o ambientali o, semplicemente innovazioni tecnologiche, per citarne alcuni.

La scelta del teatro come strumento d’intervento è dettata dall’efficacia riscontrata in questa forma di arte di produrre cambiamento e ben-essere.

Come funziona in Italia

Allo stesso modo si può comprendere perché nell’Ordinamento Penitenziario del lontano 1975, il legislatore ha inserito un intero articolo (art. 27 O.P.) sulla necessità da parte degli operatori di utilizzare le attività culturali e ricreative (musica, teatro, danza) per il recupero sociale di chi ha commesso un reato.

E ancora, perché l’Organizzazione mondiale della Sanità, ha inserito la creatività, la capacità di mettersi in relazione con gli altri e, soprattutto, di mettersi in gioco, nelle sue “life skills”, ossia quelle abilità e competenze necessarie ad ogni essere umano, e ai giovani in particolare, per “sapersela cavare qualunque cosa accada nella vita”, per “sopravvivere alle avversità”.

La scelta del teatro come strumento d’intervento è dettata dall’efficacia riscontrata in questa forma di arte di produrre cambiamento e ben-essere.

Ovviamente, si tratta di un “teatro” in cui vi è la massima libertà di espressione, un setting specifico nel quale poter acquisire una maggiore consapevolezza di sé e del rapporto con gli altri o con il mondo esterno. Una condizione tale da permetterci, attraverso differenti modalità e strumenti comunicativi, di far emergere il nostro vissuto, elaborarlo e condividerlo con altri alla ricerca di altre prospettive.

In questa direzione il teatro si propone come un contenitore proprio di quegli accadimenti della vita quotidiana per trasferirli in un ambiente extra-quotidiano dove possono essere meglio scomposti, analizzati, elaborati, affrontati e, quindi, riportati nel quotidiano in una nuova veste.

E’ proprio attraverso l’uso delle tecniche pedagogiche del teatro che diventa possibile, in chiave metaforica, affrontare ogni aspetto della vita umana, poiché essa stessa è ispiratrice del racconto scenico. Per questo motivo il teatro è diventato lo strumento privilegiato per una consapevolezza matura delle dinamiche della vita.

Si tratta di una esperienza collettiva, che aiuta a superare eccessivi individualismi, a tenere conto della realtà dell’altro, ad attivare la capacità di ascolto, ad imparare a farsi da parte per il raggiungimento dell’obiettivo comune.

Un luogo dove il singolo possa essere protagonista della propria esistenza, esplorando le proprie potenzialità ed esprimendo le proprie emozioni, i propri bisogni al di là di qualsiasi logica di omologazione che impone la cultura odierna.

Dott.ssa Patrizia Spagnoli

 

Bibliografia

Bellia V., Dove danzavano gli sciamani, Franco Angeli, Milano, 2001

Boal A, Il teatro degli oppressi. Teoria e tecnica del teatro, La Meridiana, Molfetta,2011

Goffman E., La vita quotidiana come rappresentazione, Il Mulino, Bologna, 1969

Grotowski J., Per un teatro povero, Bulzoni, Roma, 1970Molinari C., Storia del Teatro, Laterza, Bari, 2003

Moreno J., Il teatro della spontaneità, Guaraldi, 1973

Moreno J.., Manuale di psicodramma, Astrolabio, Roma, 1985

Nardone G., La paura delle decisioni, Adriano Salani Editore, Milano, 2014

Orioli W., Il teatro come terapia. Macro Edizioni, Cesena, 2001

Sartarelli G., Pedagogia penitenziaria e della devianza, Carocci, Roma, 2004

Stanislavskij K.S., Il lavoro dell’attore su se stesso, Laterza, Bari, 2004

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